La clonazione salverà le specie in via di estinzione?Per adesso, la clonazione non è una strategia di conservazione valida o praticabile. Il tasso di successi è estremamente basso, sia per la scarsa conoscenza della fisiologia delle specie interessate, sia per i problemi insiti nel ricorso a madri surrogate di specie affini. Ma alcuni ricercatori sono convinti che in futuro questa tecnica potrà aiutare le specie minacciate di Ferris JabrVAI ALLA FOTOGALLERIA: A volte ritornano, ovvero come far rivivere specie estinteNel 2009, la Brazilian Agricultural Research Corporation (
Embrapa) e il Giardino zoologico di Brasilia hanno iniziato a raccogliere e congelare le cellule del sangue, del cordone ombelicale e lo sperma di animali selvatici morti, provenienti per lo più dalla savana del Cerrado, in cui vi è un'incredibile varietà di ecosistemi con almeno 10.000 specie di piante e oltre 800 specie di uccelli e mammiferi, alcuni dei quali non vivono in nessun'altra parte del mondo. Fra gli altri, sono stati raccolti campioni di speoto (
Speothos venaticus), tamandua meridionale, bisonte e mazama grigio (
Mazama gouazoubira).
L'idea è quella di conservare le informazioni genetiche della fauna brasiliana a rischio di estinzione, sperando che un domani diventi possibile usare il DNA raccolto per clonare gli animali a rischio e sostenerne le popolazioni. Finora le due istituzioni hanno raccolto almeno 420 campioni di tessuto, e stanno collaborando a un progetto collegato, che userà il DNA di questi esemplari per migliorare le tecniche di incrocio e di clonazione. Le attuali tecniche di clonazione hanno un tasso di successo inferiore al 5 per cento anche quando si lavora con specie ben conosciute, mentre la clonazione degli animali selvatici ha di solito una percentuale di successo inferiore all'uno per cento.
Due esemplari di speoto.Gli animali che dovessero nascere in questo modo, dice il ricercatore dell'Embrapa Carlos Martins, sarebbero ospitati nello zoo di Brasilia. L'aumento delle popolazioni di animali selvatici in cattività, sperano Martins e colleghi, scoraggerà dal continuare a prelevarli dal loro habitat naturale. Le specie da clonare non sono ancora state decise, ma il crisocione (
Chrysocyon brachyurus) e il giaguaro, che la
Lista rossa delle specie minacciate classifica entrambi come "quasi a rischio" (appena due livelli sotto "in via di estinzione") sono forti candidati.
Molti ricercatori concordano che attualmente la clonazione non è una strategia di conservazione praticabile o efficace. Prima di tutto, non affronta le ragioni, come la distruzione dell'habitat e la caccia, per cui molti animali sono in pericolo. Inoltre, anche se teoricamente potrebbe aiutare in situazioni davvero disperate, le attuali tecniche di clonazione sono troppo inefficienti per fare una reale differenza.
Primi cloniNei primi anni cinquanta, al Lankenau Hospital Research Institute di Philadelphia, Robert Briggs e Thomas King clonarono con successo 27 rane leopardo (
Rana pipiens) usando il metodo del trasferimento nucleare. Il nucleo, il centro di comando della cellula, contiene la maggior parte del DNA di un vertebrato, con l'eccezione del DNA all'interno dei mitocondri, gli organelli che producono energia. Briggs e King svuotarono le uova di rana dei nuclei, iniettando nelle uova così svuotate il nucleo di cellule di embrioni di rana. Molte di quelle uova si svilupparono in girini geneticamente identici agli embrioni che avevano donato il loro DNA nucleare.
Nel 1958,
John Gurdon e colleghi clonarono rane con il DNA nucleare estratto dalle cellule di girini completamente formati. A differenza delle cellule embrionali, che sono geneticamente abbastanza flessibili per dar origine a una varietà di tessuti differenti, le cellule di un girino sono "differenziate", cioè il profilo di espressione dei geni è ormai cambiato per adattarsi al profilo di uno specifico tipo di cellula, per esempio della pelle, dell'occhio e del cuore. Gurdon dimostrò che, una volta trapiantato in un uovo, il DNA nucleare di una cellula matura ritorna al più versatile stato caratteristico delle cellule di un embrione. Questa innovazione incoraggiò gli scienziati a tentare la clonazione con animali molto più grandi e usando il DNA di cellule adulte.
Esemplare di Mazama gouazoubiraNel 1996, ricercatori scozzesi tentarono di clonare una femmina di pecora di razza Finn-Dorset iniettando nuclei estratti da cellule della mammella in quasi 300 uova derivate da pecore di una razza diversa, la Black Face scozzese. Da quelle uova così preparate, riuscirono a creare più di 30 embrioni. Solo cinque di questi embrioni si svilupparono in agnelli dopo essere stati impiantati in madri surrogate. E solo uno di quegli agnelli sopravvisse fino all'età adulta: i ricercatori la chiamarono Dolly.
Da allora, è stato ripetutamente suggerito che la clonazione potrebbe contribuire a salvare specie in pericolo, soprattutto in situazioni drammatiche in cui rimangono poche decine di animali, o anche meno. Quanto più piccola, omogenea ed endogamica è una popolazione, tanto più è suscettibile è di incorrere in una singola mutazione genetica dannosa o patogena. I cloni potrebbero teoricamente aumentare la diversità genetica di una popolazione in via di estinzione se i ricercatori disponessero di DNA conservato proveniente da molti individui diversi o almeno stabilizzare il decadimento della popolazione. Una popolazione geneticamente omogenea, ma stabile sarebbe comunque meglio dell'estinzione: alcuni gruppi altamente endogamici di animali selvatici, come i bovini Chillingham in Inghilterra, sono sopravvissuti bene per centinaia di anni.
Una specie che potrebbe trarre beneficio dalla clonazione è il rinoceronte bianco settentrionale, nativo dell'Africa. Nel 1960 la popolazione globale di questo rinoceronte superava i 2000 esemplari, ma il bracconaggio ha ridotto il loro numero agli appena 11 di oggi. Dall'ultimo conteggio, tre vivono negli zoo - due a San Diego e uno nella Repubblica Ceca - quattro nel Conservancy Ol Pejeta in Kenya e, secondo voci non confermate, almeno quattro esemplari potrebbero ancora vivere in libertà, ma non sono stati più avvistati da diversi anni. La maggior parte degli animali in cattività non è interessata all'accoppiamento o è sterili, anche se nell'estate del 2012 due rinoceronti si sono accoppiati.
In questo momento, però, è improbabile che la clonazione possa aiutare il rinoceronte bianco o qualsiasi altra specie minacciata. Fino ad oggi, la storia della clonazione di animali in via di estinzione è segnata da pochi successi e molti, molti fallimenti. Dagli inizi del nuovo secolo, con la stessa tecnica che ha prodotto Dolly, i ricercatori hanno clonato mammiferi diversi in via di estinzione, e anche estinti, tra cui un muflone e un bovide noto come gaur (
Bos gaurus) nel 2001, un altro bovide, il banteng (
Bos javanicus) nel 2003; una capra selvatica nota come stambecco dei Pirenei nel 2009, e coyote selvatici nel 2012. In tutti i casi, sono morti prima della nascita molti più cloni di quanti ne siano sopravvissuti, e nella maggior parte dei casi nessuno dei cloni è sopravvissuto fino all'età adulta.
Poca corrispondenzaQuesti cloni malriusciti di animali in via di estinzione o estinti sono morti in modi diversi e per motivi diversi, ma tutti hanno in comune un problema fondamentale: non sono repliche esatte delle loro controparti. Nella maggior parte dei casi, i ricercatori hanno combinato il DNA delle specie minacciate con uova di una specie affine domestica. A ogni madre surrogata vengono spesso impiantate decine di embrioni ibridi per ottenere almeno un paio di gravidanze, ma questa strategia richiede il prelievo di centinaia di uova. Poiché la fisiologia della riproduzione della maggior parte degli animali in via di estinzione è ben poco conosciuta, i ricercatori hanno dubbi sul momento di ovulazione e sul modo migliore per acquisirne le uova. In alcuni casi, le norme impediscono il prelievo di uova di specie minacciate. Per tutti questi motivi, gli scienziati si rivolgono a specie domestiche più familiari.
Una coppia di banteng.
Iniettando il DNA di una specie nell'ovulo di un'altra specie, anche strettamente imparentanta, si crea un insolito embrione ibrido che spesso non riesce a svilupparsi correttamente nel grembo di una madre surrogata. Gli embrioni ibridi hanno il DNA nucleare della specie clonata e il DNA mitocondriale (mtDNA) dell'uovo donato. Quando l'embrione si sviluppa, questa mancata corrispondenza diventa problematica. DNA nucleare e mtDNA devono collaborare, ma entrambi contengono ricette genetiche per le proteine che servono alle cellule per ricavare energia dagli alimenti. In un embrione ibrido, queste proteine non sempre combaciano correttamente, e questo lascia le cellule affamate di energia. A complicare ulteriormente le cose, la madre surrogata rifiuta spesso l'embrione ibrido perché riconosce come estranei alcuni dei tessuti dell'embrione, in particolare la placenta.
Un altro problema, al momento il più difficile da superare, è che un embrione ibrido creato per trasferimento nucleare non è una “lavagna” genetica intonsa come la maggior parte degli embrioni. Tutti i vertebrati iniziano la vita come sfere cave di cellule staminali embrionali, che possono diventare qualsiasi tipo di cellula adulta. Ciascuna di queste cellule staminali contiene una copia dello stesso identico genoma impacchettato in cromosomi, fasci compatti di DNA e istoni. Quando l'embrione si sviluppa, le cellule staminali iniziano ad assumere le loro forme adulte: alcune diventano cellule della pelle, altre cellule del cuore e così via. I diversi tipi di cellule iniziano a mostrare differenti profili di espressione dei geni.
All'interno di ogni cella un assortimento di molecole ed enzimi interagisce con il DNA e con gli istoni per modificare l'espressione genica. Alcune molecole, come i gruppi metile, bloccano fisicamente il macchinario cellulare impedendo di leggere le istruzioni genetiche in alcuni segmenti di DNA; altri enzimi allentano i legami tra istoni e DNA, rendendo più accessibili particolari geni. Alla fine, ogni tipo di cellula - della pelle, del fegato, del cervello - ha lo stesso genoma, ma un diverso epigenoma: un modello unico dei geni che sono attivamente espressi o messi a tacere. Nel corso del tempo, l'epigenoma di una cellula adulta può cambiare ancora di più, a seconda delle esperienze di vita dell'animale.
Così, quando i ricercatori iniettano il nucleo di una cellula adulta in un ovulo svuotato, il nucleo porta con sé il suo epigenoma. Come hanno mostrato i primi esperimenti degli anni cinquanta di Gurdon e gli studi successivi, un uovo è in grado, almeno in una certa misura, di cancellare l'epigenoma del DNA nucleare inserito, ripulendo la “lavagna”. L'uovo però spesso non riesce a completare correttamente questo processo di "riprogrammazione nucleare", ancora scarsamente compreso, soprattutto quando l'uovo è di una specie e il DNA nucleare di un'altra. Secondo i ricercatori l'incompleta riprogrammazione nucleare è una delle principali cause delle molte anomalie dello sviluppo che uccidono i cloni prima della nascita e dei molti problemi di salute comuni a molti sopravvissuti, dall'eccessivo peso alla nascita alle insufficienze d'organo.
Nutriti in laboratorio
Alcuni ricercatori intravedono la possibilità di aggirare questi problemi. Pasqualino Loi dell'Università degli Studi di Teramo, in Italia, faceva parte di un gruppo che nei primi anni duemila ha clonato con successo mufloni in via di estinzione, anche se i cloni sono morti entro sei mesi dalla nascita. Loi e i suoi colleghi pensano che sia possibile aumentare le probabilità di sopravvivenza di un embrione ibrido nel grembo di una madre surrogata. In primo luogo, propongono, si potrebbe nutrire per un breve periodo un embrione ibrido in laboratorio, fino a quando non si sviluppa nella blastocisti, la struttura sferica iniziale dello sviluppo di un vertebrato composta da un cerchio esterno di cellule, il trofoblasto, che circonda un grumo di cellule staminali in rapida divisione, detto massa cellulare interna. Alla fine, il trofoblasto diventa la placenta. Loi suggerisce di prelevare la massa cellulare interna della blastocisti ibrida e trapiantarla in un trofoblasto vuoto derivato dalla stessa specie della madre surrogata. Poiché è molto meno probabile che la madre surrogata rifiuti un trofoblasto dalla propria specie, l'embrione in via di sviluppo che è al suo interno ha molte più possibilità di sopravvivere.
Gli scienziati hanno anche trovato il modo di stimolare la riprogrammazione nucleare bagnando l'uovo in particolari composti chimici che stimolano o inibiscono gli enzimi che determinano l'epigenoma di una cella. Poco tempo fa, usando questi composti, il gruppo di Teruhiko Wakayama del RIKEN Center for Developmental Biology a Kobe, in Giappone, e i suoi colleghi ha prodotto da un singolo topo
581 topi clonati per ben 25 generazioni. Per risolvere la mancata corrispondenza fra mtDNA e DNA nucleare, Loi suggerisce di rimuovere il mtDNA nativo dell'uovo e sostituirlo con mtDNA dalla specie da clonare, una tecnica che si cercò di applicare negli anni settanta e ottanta, ma che, per ragioni non chiare, non è stata più tentata in tempi recenti.
Un gatto dai piedi neri (Felis nigripes).Alcuni dei tentativi più riusciti di clonare animali in via di estinzione hanno coinvolto negli ultimi anni due della specie domestiche più amate, cani e gatti. Martha Gomez e colleghi all'Audubon Center for Research of Endangered Species, a New Orleans, hanno creato molti cloni di gatto selvatico africano (
Felis silvestris lybica) usando gatti domestici come madri surrogate. La Gomez dice che, a oggi, otto cloni sono sopravvissuti fino all'età adulta e sono tutti in buona salute. Si attribuisce il suo successo, in parte, al fatto che gatti selvatici e gatti domestici sono molto più strettamente correlati tra loro di quanto lo siano altre specie selvatiche e domestiche accoppiate ai fini della clonazione. Il gruppo della Gomez ha anche imparato ad aumentare i tassi di successo ricorrendo a parti cesarei, così da risparmiare ai cloni lo stress di una nascita naturale, tenendo i cloni neonati in terapia intensiva per un paio di settimane, come se fossero bambini prematuri. Nel 2008, B. C. Lee della Seoul National University, in Corea, e colleghi hanno ottenuto un successo analogo con cani domestici usati per creare tre cloni sani di sesso maschile di lupo grigio. Il gruppo di Lee aveva già creato due cloni femmina di lupo grigio. Come conferma Lee, tutti e cinque gli animali sono sopravvissuti fino all'età adulta.
Lavorando con il gatto dai piedi neri (
Felis nigripes), nativo dell'Africa e indicato come "vulnerabile" nella Lista Rossa, la Gomez si sta concentrando su un metodo di clonazione differente dal trasferimento nucleare. Sta cercando di trasformare le cellule adulte di questi gatti in cellule staminali per poi indurre quelle staminali inducono a diventare spermatozoi e uova. A questo punto, attraverso la fecondazione in vitro o tecniche simili, potrebbe ingravidare gatte domestiche con embrioni di gatto dai piedi neri. In alternativa, sperma e uova derivati dalle cellule staminali potrebbero essere utilizzati per ingravidare le femmine della specie in via di estinzione.
Dire che questo approccio è tecnicamente impegnativo è un eufemismo, ma i ricercatori hanno fatto progressi impressionanti. Nel 2011 Jeanne Loring dello Scripps Research Institute a La Jolla, in California, e i suoi colleghi hanno prodotto cellule staminali da cellule congelate prelevate dalla pelle di due specie in via di estinzione. il rinoceronte bianco settentrionale e un primate noto come drillo (
Mandrillus leucophaeus). E nel 2012 Katsuhiko Hayashi, della Kyoto University Graduate School of Medicine, e colleghi hanno trasformato cellule della pelle di topo adulto in cellule staminali poi trasformate in cellule uovo vitali. Dopo la loro fecondazione in vitro con lo sperma, i ricercatori hanno impiantato gli embrioni in madri surrogate di topi che hanno dato alla luce una prole sana e fertile.
"Non sto dicendo che la clonazione stia per salvare le specie in via di estinzione", dice Gomez. "Ma continuo a credere nella clonazione come strumento. Non è facile, però. La ricerca si muove lentamente."
Anche Loi è ottimista. Pensa che gli scienziati dovrebbero continuare a raccogliere e conservare l'informazione genetica degli animali in via di estinzione, come ha fatto il Brasile, creando biobanche di tessuti congelati, come lo "zoo congelato" dello Institute for Conservation Research dello zoo di San Diego. Se riusciranno ad aumentare notevolmente l'efficienza della clonazione degli animali selvatici e in via di estinzione – vuoi con il trasferimento nucleare, vuoi con la fecondazione in vitro - allora il DNA di cui hanno bisogno sarà lì ad attenderli. Se non ci riusciranno, le biobanche saranno comunque utili alla ricerca di base. "Una volta che la clonazione di animali in via di estinzione sarà stabilita correttamente, sarà uno strumento molto potente", dice Loi. "Se qualcosa può essere fatto, lo sarà entro 10 anni."
(La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su scientificamerican.com l'11 marzo 2013. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)FONTE