Posts written by Roy Batty

view post Posted: 8/4/2013, 10:49 Mi presento - Presentazioni
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Come mai da queste parti?
view post Posted: 17/3/2013, 01:30 La clonazione salverà le specie in via di estinzione? - Ambiente
La clonazione salverà le specie in via di estinzione?

Per adesso, la clonazione non è una strategia di conservazione valida o praticabile. Il tasso di successi è estremamente basso, sia per la scarsa conoscenza della fisiologia delle specie interessate, sia per i problemi insiti nel ricorso a madri surrogate di specie affini. Ma alcuni ricercatori sono convinti che in futuro questa tecnica potrà aiutare le specie minacciate di Ferris Jabr

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VAI ALLA FOTOGALLERIA: A volte ritornano, ovvero come far rivivere specie estinte

Nel 2009, la Brazilian Agricultural Research Corporation (Embrapa) e il Giardino zoologico di Brasilia hanno iniziato a raccogliere e congelare le cellule del sangue, del cordone ombelicale e lo sperma di animali selvatici morti, provenienti per lo più dalla savana del Cerrado, in cui vi è un'incredibile varietà di ecosistemi con almeno 10.000 specie di piante e oltre 800 specie di uccelli e mammiferi, alcuni dei quali non vivono in nessun'altra parte del mondo. Fra gli altri, sono stati raccolti campioni di speoto (Speothos venaticus), tamandua meridionale, bisonte e mazama grigio (Mazama gouazoubira).

L'idea è quella di conservare le informazioni genetiche della fauna brasiliana a rischio di estinzione, sperando che un domani diventi possibile usare il DNA raccolto per clonare gli animali a rischio e sostenerne le popolazioni. Finora le due istituzioni hanno raccolto almeno 420 campioni di tessuto, e stanno collaborando a un progetto collegato, che userà il DNA di questi esemplari per migliorare le tecniche di incrocio e di clonazione. Le attuali tecniche di clonazione hanno un tasso di successo inferiore al 5 per cento anche quando si lavora con specie ben conosciute, mentre la clonazione degli animali selvatici ha di solito una percentuale di successo inferiore all'uno per cento.

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Due esemplari di speoto.

Gli animali che dovessero nascere in questo modo, dice il ricercatore dell'Embrapa Carlos Martins, sarebbero ospitati nello zoo di Brasilia. L'aumento delle popolazioni di animali selvatici in cattività, sperano Martins e colleghi, scoraggerà dal continuare a prelevarli dal loro habitat naturale. Le specie da clonare non sono ancora state decise, ma il crisocione (Chrysocyon brachyurus) e il giaguaro, che la Lista rossa delle specie minacciate classifica entrambi come "quasi a rischio" (appena due livelli sotto "in via di estinzione") sono forti candidati.

Molti ricercatori concordano che attualmente la clonazione non è una strategia di conservazione praticabile o efficace. Prima di tutto, non affronta le ragioni, come la distruzione dell'habitat e la caccia, per cui molti animali sono in pericolo. Inoltre, anche se teoricamente potrebbe aiutare in situazioni davvero disperate, le attuali tecniche di clonazione sono troppo inefficienti per fare una reale differenza.

Primi cloni
Nei primi anni cinquanta, al Lankenau Hospital Research Institute di Philadelphia, Robert Briggs e Thomas King clonarono con successo 27 rane leopardo (Rana pipiens) usando il metodo del trasferimento nucleare. Il nucleo, il centro di comando della cellula, contiene la maggior parte del DNA di un vertebrato, con l'eccezione del DNA all'interno dei mitocondri, gli organelli che producono energia. Briggs e King svuotarono le uova di rana dei nuclei, iniettando nelle uova così svuotate il nucleo di cellule di embrioni di rana. Molte di quelle uova si svilupparono in girini geneticamente identici agli embrioni che avevano donato il loro DNA nucleare.

Nel 1958, John Gurdon e colleghi clonarono rane con il DNA nucleare estratto dalle cellule di girini completamente formati. A differenza delle cellule embrionali, che sono geneticamente abbastanza flessibili per dar origine a una varietà di tessuti differenti, le cellule di un girino sono "differenziate", cioè il profilo di espressione dei geni è ormai cambiato per adattarsi al profilo di uno specifico tipo di cellula, per esempio della pelle, dell'occhio e del cuore. Gurdon dimostrò che, una volta trapiantato in un uovo, il DNA nucleare di una cellula matura ritorna al più versatile stato caratteristico delle cellule di un embrione. Questa innovazione incoraggiò gli scienziati a tentare la clonazione con animali molto più grandi e usando il DNA di cellule adulte.

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Esemplare di Mazama gouazoubira

Nel 1996, ricercatori scozzesi tentarono di clonare una femmina di pecora di razza Finn-Dorset iniettando nuclei estratti da cellule della mammella in quasi 300 uova derivate da pecore di una razza diversa, la Black Face scozzese. Da quelle uova così preparate, riuscirono a creare più di 30 embrioni. Solo cinque di questi embrioni si svilupparono in agnelli dopo essere stati impiantati in madri surrogate. E solo uno di quegli agnelli sopravvisse fino all'età adulta: i ricercatori la chiamarono Dolly.

Da allora, è stato ripetutamente suggerito che la clonazione potrebbe contribuire a salvare specie in pericolo, soprattutto in situazioni drammatiche in cui rimangono poche decine di animali, o anche meno. Quanto più piccola, omogenea ed endogamica è una popolazione, tanto più è suscettibile è di incorrere in una singola mutazione genetica dannosa o patogena. I cloni potrebbero teoricamente aumentare la diversità genetica di una popolazione in via di estinzione se i ricercatori disponessero di DNA conservato proveniente da molti individui diversi o almeno stabilizzare il decadimento della popolazione. Una popolazione geneticamente omogenea, ma stabile sarebbe comunque meglio dell'estinzione: alcuni gruppi altamente endogamici di animali selvatici, come i bovini Chillingham in Inghilterra, sono sopravvissuti bene per centinaia di anni.

Una specie che potrebbe trarre beneficio dalla clonazione è il rinoceronte bianco settentrionale, nativo dell'Africa. Nel 1960 la popolazione globale di questo rinoceronte superava i 2000 esemplari, ma il bracconaggio ha ridotto il loro numero agli appena 11 di oggi. Dall'ultimo conteggio, tre vivono negli zoo - due a San Diego e uno nella Repubblica Ceca - quattro nel Conservancy Ol Pejeta in Kenya e, secondo voci non confermate, almeno quattro esemplari potrebbero ancora vivere in libertà, ma non sono stati più avvistati da diversi anni. La maggior parte degli animali in cattività non è interessata all'accoppiamento o è sterili, anche se nell'estate del 2012 due rinoceronti si sono accoppiati.

In questo momento, però, è improbabile che la clonazione possa aiutare il rinoceronte bianco o qualsiasi altra specie minacciata. Fino ad oggi, la storia della clonazione di animali in via di estinzione è segnata da pochi successi e molti, molti fallimenti. Dagli inizi del nuovo secolo, con la stessa tecnica che ha prodotto Dolly, i ricercatori hanno clonato mammiferi diversi in via di estinzione, e anche estinti, tra cui un muflone e un bovide noto come gaur (Bos gaurus) nel 2001, un altro bovide, il banteng (Bos javanicus) nel 2003; una capra selvatica nota come stambecco dei Pirenei nel 2009, e coyote selvatici nel 2012. In tutti i casi, sono morti prima della nascita molti più cloni di quanti ne siano sopravvissuti, e nella maggior parte dei casi nessuno dei cloni è sopravvissuto fino all'età adulta.

Poca corrispondenza
Questi cloni malriusciti di animali in via di estinzione o estinti sono morti in modi diversi e per motivi diversi, ma tutti hanno in comune un problema fondamentale: non sono repliche esatte delle loro controparti. Nella maggior parte dei casi, i ricercatori hanno combinato il DNA delle specie minacciate con uova di una specie affine domestica. A ogni madre surrogata vengono spesso impiantate decine di embrioni ibridi per ottenere almeno un paio di gravidanze, ma questa strategia richiede il prelievo di centinaia di uova. Poiché la fisiologia della riproduzione della maggior parte degli animali in via di estinzione è ben poco conosciuta, i ricercatori hanno dubbi sul momento di ovulazione e sul modo migliore per acquisirne le uova. In alcuni casi, le norme impediscono il prelievo di uova di specie minacciate. Per tutti questi motivi, gli scienziati si rivolgono a specie domestiche più familiari.

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Una coppia di banteng.

Iniettando il DNA di una specie nell'ovulo di un'altra specie, anche strettamente imparentanta, si crea un insolito embrione ibrido che spesso non riesce a svilupparsi correttamente nel grembo di una madre surrogata. Gli embrioni ibridi hanno il DNA nucleare della specie clonata e il DNA mitocondriale (mtDNA) dell'uovo donato. Quando l'embrione si sviluppa, questa mancata corrispondenza diventa problematica. DNA nucleare e mtDNA devono collaborare, ma entrambi contengono ricette genetiche per le proteine che servono alle cellule per ricavare energia dagli alimenti. In un embrione ibrido, queste proteine non sempre combaciano correttamente, e questo lascia le cellule affamate di energia. A complicare ulteriormente le cose, la madre surrogata rifiuta spesso l'embrione ibrido perché riconosce come estranei alcuni dei tessuti dell'embrione, in particolare la placenta.

Un altro problema, al momento il più difficile da superare, è che un embrione ibrido creato per trasferimento nucleare non è una “lavagna” genetica intonsa come la maggior parte degli embrioni. Tutti i vertebrati iniziano la vita come sfere cave di cellule staminali embrionali, che possono diventare qualsiasi tipo di cellula adulta. Ciascuna di queste cellule staminali contiene una copia dello stesso identico genoma impacchettato in cromosomi, fasci compatti di DNA e istoni. Quando l'embrione si sviluppa, le cellule staminali iniziano ad assumere le loro forme adulte: alcune diventano cellule della pelle, altre cellule del cuore e così via. I diversi tipi di cellule iniziano a mostrare differenti profili di espressione dei geni.

All'interno di ogni cella un assortimento di molecole ed enzimi interagisce con il DNA e con gli istoni per modificare l'espressione genica. Alcune molecole, come i gruppi metile, bloccano fisicamente il macchinario cellulare impedendo di leggere le istruzioni genetiche in alcuni segmenti di DNA; altri enzimi allentano i legami tra istoni e DNA, rendendo più accessibili particolari geni. Alla fine, ogni tipo di cellula - della pelle, del fegato, del cervello - ha lo stesso genoma, ma un diverso epigenoma: un modello unico dei geni che sono attivamente espressi o messi a tacere. Nel corso del tempo, l'epigenoma di una cellula adulta può cambiare ancora di più, a seconda delle esperienze di vita dell'animale.

Così, quando i ricercatori iniettano il nucleo di una cellula adulta in un ovulo svuotato, il nucleo porta con sé il suo epigenoma. Come hanno mostrato i primi esperimenti degli anni cinquanta di Gurdon e gli studi successivi, un uovo è in grado, almeno in una certa misura, di cancellare l'epigenoma del DNA nucleare inserito, ripulendo la “lavagna”. L'uovo però spesso non riesce a completare correttamente questo processo di "riprogrammazione nucleare", ancora scarsamente compreso, soprattutto quando l'uovo è di una specie e il DNA nucleare di un'altra. Secondo i ricercatori l'incompleta riprogrammazione nucleare è una delle principali cause delle molte anomalie dello sviluppo che uccidono i cloni prima della nascita e dei molti problemi di salute comuni a molti sopravvissuti, dall'eccessivo peso alla nascita alle insufficienze d'organo.

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Nutriti in laboratorio
Alcuni ricercatori intravedono la possibilità di aggirare questi problemi. Pasqualino Loi dell'Università degli Studi di Teramo, in Italia, faceva parte di un gruppo che nei primi anni duemila ha clonato con successo mufloni in via di estinzione, anche se i cloni sono morti entro sei mesi dalla nascita. Loi e i suoi colleghi pensano che sia possibile aumentare le probabilità di sopravvivenza di un embrione ibrido nel grembo di una madre surrogata. In primo luogo, propongono, si potrebbe nutrire per un breve periodo un embrione ibrido in laboratorio, fino a quando non si sviluppa nella blastocisti, la struttura sferica iniziale dello sviluppo di un vertebrato composta da un cerchio esterno di cellule, il trofoblasto, che circonda un grumo di cellule staminali in rapida divisione, detto massa cellulare interna. Alla fine, il trofoblasto diventa la placenta. Loi suggerisce di prelevare la massa cellulare interna della blastocisti ibrida e trapiantarla in un trofoblasto vuoto derivato dalla stessa specie della madre surrogata. Poiché è molto meno probabile che la madre surrogata rifiuti un trofoblasto dalla propria specie, l'embrione in via di sviluppo che è al suo interno ha molte più possibilità di sopravvivere.

Gli scienziati hanno anche trovato il modo di stimolare la riprogrammazione nucleare bagnando l'uovo in particolari composti chimici che stimolano o inibiscono gli enzimi che determinano l'epigenoma di una cella. Poco tempo fa, usando questi composti, il gruppo di Teruhiko Wakayama del RIKEN Center for Developmental Biology a Kobe, in Giappone, e i suoi colleghi ha prodotto da un singolo topo 581 topi clonati per ben 25 generazioni. Per risolvere la mancata corrispondenza fra mtDNA e DNA nucleare, Loi suggerisce di rimuovere il mtDNA nativo dell'uovo e sostituirlo con mtDNA dalla specie da clonare, una tecnica che si cercò di applicare negli anni settanta e ottanta, ma che, per ragioni non chiare, non è stata più tentata in tempi recenti.

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Un gatto dai piedi neri (Felis nigripes).

Alcuni dei tentativi più riusciti di clonare animali in via di estinzione hanno coinvolto negli ultimi anni due della specie domestiche più amate, cani e gatti. Martha Gomez e colleghi all'Audubon Center for Research of Endangered Species, a New Orleans, hanno creato molti cloni di gatto selvatico africano (Felis silvestris lybica) usando gatti domestici come madri surrogate. La Gomez dice che, a oggi, otto cloni sono sopravvissuti fino all'età adulta e sono tutti in buona salute. Si attribuisce il suo successo, in parte, al fatto che gatti selvatici e gatti domestici sono molto più strettamente correlati tra loro di quanto lo siano altre specie selvatiche e domestiche accoppiate ai fini della clonazione. Il gruppo della Gomez ha anche imparato ad aumentare i tassi di successo ricorrendo a parti cesarei, così da risparmiare ai cloni lo stress di una nascita naturale, tenendo i cloni neonati in terapia intensiva per un paio di settimane, come se fossero bambini prematuri. Nel 2008, B. C. Lee della Seoul National University, in Corea, e colleghi hanno ottenuto un successo analogo con cani domestici usati per creare tre cloni sani di sesso maschile di lupo grigio. Il gruppo di Lee aveva già creato due cloni femmina di lupo grigio. Come conferma Lee, tutti e cinque gli animali sono sopravvissuti fino all'età adulta.

Lavorando con il gatto dai piedi neri (Felis nigripes), nativo dell'Africa e indicato come "vulnerabile" nella Lista Rossa, la Gomez si sta concentrando su un metodo di clonazione differente dal trasferimento nucleare. Sta cercando di trasformare le cellule adulte di questi gatti in cellule staminali per poi indurre quelle staminali inducono a diventare spermatozoi e uova. A questo punto, attraverso la fecondazione in vitro o tecniche simili, potrebbe ingravidare gatte domestiche con embrioni di gatto dai piedi neri. In alternativa, sperma e uova derivati dalle cellule staminali potrebbero essere utilizzati per ingravidare le femmine della specie in via di estinzione.

Dire che questo approccio è tecnicamente impegnativo è un eufemismo, ma i ricercatori hanno fatto progressi impressionanti. Nel 2011 Jeanne Loring dello Scripps Research Institute a La Jolla, in California, e i suoi colleghi hanno prodotto cellule staminali da cellule congelate prelevate dalla pelle di due specie in via di estinzione. il rinoceronte bianco settentrionale e un primate noto come drillo (Mandrillus leucophaeus). E nel 2012 Katsuhiko Hayashi, della Kyoto University Graduate School of Medicine, e colleghi hanno trasformato cellule della pelle di topo adulto in cellule staminali poi trasformate in cellule uovo vitali. Dopo la loro fecondazione in vitro con lo sperma, i ricercatori hanno impiantato gli embrioni in madri surrogate di topi che hanno dato alla luce una prole sana e fertile.

"Non sto dicendo che la clonazione stia per salvare le specie in via di estinzione", dice Gomez. "Ma continuo a credere nella clonazione come strumento. Non è facile, però. La ricerca si muove lentamente."

Anche Loi è ottimista. Pensa che gli scienziati dovrebbero continuare a raccogliere e conservare l'informazione genetica degli animali in via di estinzione, come ha fatto il Brasile, creando biobanche di tessuti congelati, come lo "zoo congelato" dello Institute for Conservation Research dello zoo di San Diego. Se riusciranno ad aumentare notevolmente l'efficienza della clonazione degli animali selvatici e in via di estinzione – vuoi con il trasferimento nucleare, vuoi con la fecondazione in vitro - allora il DNA di cui hanno bisogno sarà lì ad attenderli. Se non ci riusciranno, le biobanche saranno comunque utili alla ricerca di base. "Una volta che la clonazione di animali in via di estinzione sarà stabilita correttamente, sarà uno strumento molto potente", dice Loi. "Se qualcosa può essere fatto, lo sarà entro 10 anni."

(La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su scientificamerican.com l'11 marzo 2013. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

FONTE
view post Posted: 15/2/2013, 20:01 Mangia cioccolato e vinci il premio Nobel - Scienza & Tecnica
Mangia cioccolato e vinci il premio Nobel

Quante volte avete letto “Mangiare il tal cibo previene la tal malattia”? O viceversa “Il consumo dell’alimento X è responsabile della patologia Y”? Io tante. E troppo spesso andando a leggere l’articolo scientifico originale (ammesso che esista e che non sia una semplice comunicazione ad un congresso o, peggio, una semplice ipotesi di un ricercatore) si scopre che in realtà è stata semplicemente riscontrata una “correlazione”.

Funziona così: sono stati analizzati i consumi alimentari di un gruppo di persone e si è riscontrato che, ad esempio, quelli che consumavano più succo di limone spremuto (ad esempio) avevano una probabilità inferiore di avere il cancro al polmone. Oppure si confrontano e si incrociano abitudini alimentari e patologie tra paesi diversi: in Francia mangiano tanto formaggio e hanno una minore incidenza di malattie cardiovascolari rispetto agli USA dove invece mangiano poco formaggio ma una incidenza maggiore di malattie di quel tipo. In più in Francia bevono più vino che negli USA (lascio al lettore trarre le conclusioni). Non passa giorno che io non legga cose ti questo tipo: “il vino previene gli infarti”, “il latte causa l’osteoporosi”, “il tè verde protegge dall’invecchiamento” e così via.

Che valore dare a questo tipo di osservazioni? Personalmente quasi zero a meno che non ci siano altre (e robuste) evidenze che mostrino la fondatezza dell’ipotesi di un rapporto di causa ed effetto.

La rivista New England Journal of Medicine (NEJM) a ottobre 2012 ha pubblicato un gustoso articolo (Messerli, Franz H. “Chocolate consumption, cognitive function, and Nobel laureates.” New England Journal of Medicine 367.16 (2012): 1562-1564.) sulla correlazione tra il consumo di cioccolato di una nazione e il numero di premi Nobel vinti da cittadini di quella nazione.

Vi mostro subito il grafico dove i ricercatori trovano una correlazione lineare (r = 0.791) significativa tra il numero di premi Nobel ogni 10 milioni di abitanti e il consumo pro capite di cioccolato

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Dal grafico si vede immediatamente come più in un paese consumino cioccolato, più si vincono premi Nobel. In particolare dall’analisi statistica si scopre che per aumentare di uno il numero di premi Nobel (ogni 10 milioni di abitanti) è necessario aumentare il consumo pro capite annuale di cioccolato di 0.4 kg.

I flavonoidi sono un gruppo di sostanze molto abbondanti in alcuni vegetali di cui recentemente si è mostrata la capacità di migliorare le funzioni cognitive, ridurre il rischio di demenza e migliorare le funzioni cognitive negli anziani. In particolare uno studio sui flavonoli, una sottofamiglia presente nel vino rosso, nel tè verde e nel cacao, ha mostrato che

chi assumeva dosi medio-alte di flavonoli del cacao mostrava in generale performance migliori in termini di funzionalità cerebrale, memoria a breve e a lungo termine, velocità di pensiero e capacità cognitiva complessiva, rispetto a chi ne consumava meno.

Lo studio sul NEJM parte dall’ipotesi che il consumo di cioccolato, ricco di flavonoli, possa avere un effetto sulle capacità cognitive di un intera popolazione. Non essendo disponibili dati sulle capacità cognitive di intere popolazioni l’autore considera il numero di premi Nobel un surrogato ragionevole. Ed ecco quindi il grafico che ho riportato sopra. È chiara la correlazione: più cioccolato consumi come nazione e più vinci premi Nobel. È ovvio dal grafico che il cioccolato fa diventare più intelligenti, no? Come altro si spiega questa correlazione? Guardate la Svizzera: ha il più alto consumo pro capite di cioccolato e, guarda caso, anche il più alto numero di Nobel. Non può essere una coincidenza!

È curioso, fa notare l’autore, anche il caso della Svezia che con un consumo di 6.4 kg pro capite per anno di cioccolato ha un numero di premi Nobel più del doppio di quello che ci si aspetterebbe dal suo consumo (ne ha 32 ma ne “dovrebbe” avere 14). O ipotizziamo che gli Svedesi, a differenza di altre popolazioni, abbiano una maggiore sensibilità al cioccolato e quindi le loro funzioni cognitive reagiscano positivamente a dosi inferiori di cioccolato rispetto ad altre popolazioni, oppure possiamo ipotizzare che chi assegna i premi sia stato un po’ “partigiano” ;)

L’Italia non è messa benissimo: evidentemente ne mangiamo troppo poco (chiaramente la Nutella non ha lo stesso effetto del cioccolato. È probabilmente colpa della presenza di grassi vegetali. Anzi, potremmo ipotizzare che sia proprio la presenza di questi grassi che ha impedito all’Italia di avere più premi Nobel! Complotto!)

Siete un ricercatore e volete vincere un premio Nobel? Avete più banalmente problemi con il sudoku domenicale? Forza, correte a comprare qualche decina di tavolette di cioccolato (non quello bianco però, che oltre ad essere disgustosamente dolce non contiene flavonoidi).

No eh? Non vi ho convinto? Siete scettici? E fate bene!

Il punto, che spesso sfugge a molti, è che una semplice correlazione non significa nulla, e in particolare non indica assolutamente un rapporto di causa ed effetto. “Correlation is not causation” è un mantra che ogni giornalista o ricercatore dovrebbe recitare prima di scrivere articoli che attribuiscono cause a destra e a manca.

Certamente se esiste un rapporto di causa ed effetto tra due fenomeni mi posso aspettare di trovare una correlazione. La posso però trovare anche se i due fenomeni hanno semplicemente una causa comune (più o meno alla lontana). Ma, ed è il caso peggiore, analizzando un gran numero di dati posso trovare correlazioni tra fenomeni completamente indipendenti anche per puro caso. Non è difficile. Volete qualche esempio?

Sappiamo tutti che il numero di casi di autismo è in continuo aumento. Anni fa un medico aveva ipotizzato una relazione con alcune vaccinazioni. Poi si è scoperto che non esiste alcuna relazione tra vaccini e autismo, e che il medico aveva organizzato una truffa, ed è stato messo sotto inchiesta per questo (purtroppo molti genitori ancora credono a queste storie. Medbunker fa una bel riassunto)

Sappiamo anche che il consumo di prodotti biologici è in continuo aumento. Non ci sarà una correlazione tra le due cose? Proviamo a fare un grafico, in funzione del tempo, del numero di casi di autismo e delle vendite di cibo biologico in USA.

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Bingo! E la correlazione è altissima (r=0.9971) superiore a quella tra cioccolato e Nobel. SVEGLIA, CI STANNO AVVELENANDO CON IL BIO!!!! FATE GIRARE!!! (No, scusate, non sono su Facebook :mrgreen: )

Ma non è finita qui. Usavate Internet Explorer e ora siete passati a Chrome? Avete fatto benissimo! Lo utilizzate ancora? Male, malissimo! Se passerete ad un altro browser sappiate che farete anche un favore alla società! È noto infatti che esiste una stretta correlazione tra omicidi e quote di mercato di Internet Explorer (e possiamo sicuramente ipotizzare che la frustrazione derivante dall’uso di un browser così primitivo possa generare pulsioni omicide verso il collega nel cubicolo a fianco, per cui abbiamo anche trovato il meccanismo psicologico).

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Oh, bravi, siete passati a Chrome (ma anche Safari, Opera o Firefox vanno bene) e la società è un pochino migliore da oggi. Se siete in vena di fare del bene potete fare un passo ulteriore: diventate pirati! No, non sono impazzito: è noto che esiste una correlazione (inversa in questo caso) tra il global warming e il numero di pirati.

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e diventate pirati, oltre ad avere una vita avventurosa, contribuirete a rallentare il riscaldamento globale!

Buffo vero?

A che servono allora gli studi sulle correlazioni? A varie cose, ma non a dimostrare un rapporto di causa ed effetto. Prima di tutto servono a vedere se due fenomeni non mostrano correlazione. Nel caso una correlazione invece esista può valere la pena proseguire le ricerche e scoprire se davvero esiste un rapporto di causa ed effetto. Magari cercando e dimostrando l’esistenza di un meccanismo plausibile che spieghi la correlazione. Oppure suggerire un nuovo esperimento da effettuare. Ma una correlazione da sola, una semplice analisi statistica di una serie di dati, in questo campo non ha molto valore. Il problema non sono ovviamente gli articoli che discutono correlazioni, ma le interpretazioni spesso senza un robusto fondamento che ne seguono.

Ora vado a mangiarmi del cioccolato fondente 72% (ma solo perché mi piace e non mi importa che sia ricco di grassi vegetali saturi)

Alla prossima

Dario Bressanini

FONTE
view post Posted: 8/2/2013, 04:08 Microganismi che si nutrono di corrente elettrica - Scoperte scientifiche
Microganismi che si nutrono di corrente elettrica

I batteri che ossidano il ferro, che contribuiscono in maniera determinante alla corrosione dei manufatti, possono prosperare "respirando" soltanto energia elettrica e sintetizzando le sostanze di cui hanno bisogno dall'anidride carbonica presente nell'ambiente. La scoperta apre le porte alla possibilità di usare questi batteri per trasformare l'elettricità prodotta da fonti rinnovabili in biocombustibili stoccabili (red)

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E' possibile alimentare e far prosperare alcuni tipi di batteri sfruttando solamente l'energia elettrica. La singolare scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori dell'Università del Minnesota che ne riferiscono in un articolo pubblicato sulla rivista dell'American Society for Microbiology, “mBio”.

La scoperta è stata fatta nel corso dello studio dei microrganismi ferro-ossidanti. Questi batteri, che si trovano un po' ovunque, hanno un ruolo importante nel ciclo globale del ferro e contribuiscono in maniera determinante alla corrosione di tubazioni in acciaio, ponti, moli e navi. Fioriscono soprattutto là dove un ambiente ricco di ossigeno si trova a contatto con un ambiente anaerobico, una caratteristica che rende complicato coltivarli in laboratorio.

Normalmente, per respirare e produrre l'energia necessaria, questi batteri sfruttano il ferro presente nell'ambiente sotto forma di ioni di ferro II (Fe2+), che ossidano in un processo che produce grandi quantità di ruggine, o Fe III (Fe3+). Ma per ossidare il ferro, hanno ragionato i ricercatori, devono disporre di proteine di membrana che interagiscono con Fe II, che funge da donatore di elettroni; in tal caso, dovrebbe essere possibile far fiorire colonie di questi batteri fornendo loro direttamente, al posto del ferro, un flusso di elettroni.

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Bond R. Daniel, che ha diretto lo studio, e colleghi, hanno messo un piccolo numero di batteri della specie Mariprofundus ferrooxydans - un microrganismo che per sopravvivere ha assolutamente bisogno della presenza di ferro - in una soluzione di coltura che, pur essendo priva di ferro, era attraversata da una corrente elettrica che scorreva fra due elettrodi. Poco tempo dopo, sul catodo si è formata un'ampia pellicola batterica, dimostrando così che, sfruttando come fonte energetica il
solo flusso di elettroni, il microrganismo era in grado di sintetizzare dall'anidride carbonica presente nell'ambiente tutte le sostanze necessarie per crescere e proliferare.

"E' un nuovo modo di coltivare un microrganismo che è stato molto difficile da studiare. Ma il fatto che questi organismi siano in grado di sintetizzare tutto ciò di cui hanno bisogno usando solamente energia elettrica suscita notevole interesse", ha detto Bond.

Le potenzialità applicative della scoperta sono infatti notevoli, dato che in prospettiva si potrebbero usate questi batteri per trasformare l'energia elettrica in combustibile stoccabile. Il flusso di corrente prodotto da fonti rinnovabili come l'energia eolica o solare potrebbe, per esempio, alimentare una coltura di batteri ferro-ossidanti che sintetizzerebbero biocarburanti dall'anidride carbonica.

FONTE
view post Posted: 25/1/2013, 18:53 Come archiviare sul DNA libri, canzoni e film - Scienza & Tecnica
Come archiviare sul DNA libri, canzoni e film

I sonetti di Shakespeare e parte di un discorso di Martin Luther King sono stati registrati e archiviati in una minuscola fialetta di DNA: ricercatori dell'EMBL sono riusciti a sviluppare un codice che consente di archiviare masse imponenti di dati su un supporto in grado di resistere migliaia di anni, che per la sua conservazione non richiede energia e non rischia l'obsolescenza tecnologia dei dispositivi elettronici. Già ora il sistema è economicamente conveniente per conservare grandi archivi come quelli storici e governativi che devono sfidare i secoli
(red)

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Ventisei secondi del famosissimo discorso di Martin Luther King I have a dream e 154 sonetti di Shakespeare sono stati memorizzati – rispettivamente come file MP3 e come testo ASCII – in un filamento di DNA. A riuscirci è stato un gruppo di ricercatori dello European Bioinformatics Institute (EMBL-EBI) che descrivono il metodo utilizzato in un articolo pubblicato su “Nature”.

Il DNA è un materiale ideale per la conservazione delle informazioni: richiede una quantità di spazio incredibilmente piccola, non ha bisogno di alcuna energia per conservare l'informazione e infine perché, come ha dimostrato il sequenziamento del genoma di uomini e animali risalenti a molte migliaia di anni fa, è in grado di preservarla per un tempo quasi illimitato, al contrario degli attuali supporti elettronici e optoelettronici. Tutti i supporti utilizzati finora si scontrano inoltre con il problema dell'obsolescenza dei dispositivi, che impongono frequenti e costose migrazioni da un sistema vecchio a uno nuovo.

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Nick Goldman, dell'EMBL-EBI, con la fialetta in cui sono archiviati i sonetti di Shakespeare.

Tentativi di utilizzare il DNA come mezzo di archiviazione erano già stati effettuati, ma avevano incontrato due difficioltà: in primo luogo, con i metodi attuali è possibile produrre solo sequenze di DNA piuttosto brevi. Inoltre, la scrittura e la lettura di DNA sono soggette a errori, in particolare in presenza di ripetizioni delle lettere del DNA.

Nick Goldman e Ewan Birney sono riusciti a superare questi problemi sviluppando un nuovo codice. "Sapevamo di aver bisogno di creare un codice usando solo brevi stringhe di DNA, e di doverlo farlo in modo da rendere impossibile la creazione di una 'smagliatura' in corrispondenza di una stessa lettera”, ha detto Birney. “Così abbiamo pensato: rompiamo il codice in un sacco di frammenti sovrapposti da entrambe le parti, con informazioni di indicizzazione che mostrano dove si trova ogni frammento nel codice generale, e creiamo uno schema di codifica che non consente ripetizioni. In questo modo, per fallire si dovrebbe avere lo stesso errore su quattro diversi frammenti, evento davvero raro."

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L'informazione digitale codificata con bit (a, in blu), viene convertita in base 3 (b, rosso) utilizzando un codice che sostituisce ogni byte con cinque o sei cifre in base 3 (trit). Il risultato viene convertito in DNA (c, verde) sostituendo ciascun trit con uno dei tre nucleotidi che differiscono a quello precedentemente utilizzato, così che non vengano generati polimeri strutturalmente identici. E' così possibile produrre un gran numero di segmenti di 100 basi che si si sovrappongono uno all'altro per 75 basi, creando una notevole ridondanza di informazione (d, verde). Un'ulteriore garanzia di correttezza della codifica è data poi dall'accoppiamento con segmenti in cui i dati archiviati sono codificati in ordine inverso (violetto). A questo punto vengono aggiunti i codici di indicizzazione (giallo ) che permettono la ricostruzione dell'intero file.

I dati così memorizzati possono essere recuperati con il sequenziamento del DNA e la ricostruzione dei file originali, che gli autori hanno ottenuto con il cento per cento di precisione. Comprensibilmente, la velocità di scrittura e lettura dei file non può rivaleggiare con quella dei supporti elettronici; tuttavia, scrivono gli autori, “l'archiviazione su DNA - – è già economicamente valida per archivi a lunga scadenza e con una bassa aspettativa di accesso frequente, come gli archivi storici e governativi”, per i quali si può prevedere un orizzonte di conservazione compreso fra i 600 e i 5000 anni. Ma la rapidità con cui vengono abbattuti i costi di sequenziamento e lettura del DNA permettono di prevedere che non sia lontano il momento in cui il nuovo metodo diverrà conveniente anche per grandi insiemi di dati che si vogliono conservare per 50-100 anni e, in prospettiva, anche per quelli con un orizzonte di conservazione inferiore ai 50 anni.

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view post Posted: 11/1/2013, 14:00 Oltre lo zero assoluto, una temperatura negativa "scottante" - Scoperte scientifiche
Oltre lo zero assoluto, una temperatura negativa "scottante"

Sfruttando le proprietà quantistiche che emergono in gas ultrafreddi portati allo stato di condensati di Bose-Einstein, un gruppo di ricerca tedesco ha raggiunto una temperatura di alcuni nanokelvin inferiore allo zero assoluto. Questi gas a temperatura assoluta negativa si comportano per alcuni aspetti come se fossero "infinitamente caldi" (red)

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Sfruttando proprietà quantistiche, un gruppo di ricercatori della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera e del Max-Planck-Institut per l'ottica quantistica a Garching è riuscito per la prima volta a portare una nuvola di 100.000 atomi di potassio - precedentemente portata a uno stato di condensato di Bose-Einstein - a una temperatura inferiore allo zero assoluto. "Le temperature che abbiamo ottenuto sono negative di alcuni nanokelvin", spiega Ulrich Schneider, che ha diretto la ricerca, descritta in un articolo pubblicato su “Science”.

Parlare di qualcosa che sia più freddo dello zero assoluto, può sembrare assurdo, ma solo perché intuitivamente si fa riferimento alla definizione di scala assoluta della temperatura introdotta da Lord Kelvin intorno alla metà del XIX secolo. Secondo questa scala, la temperatura assoluta di un gas è legata all'energia media delle particelle che lo compongono, per cui lo zero assoluto (0 K, pari a -273,15 °C), corrisponde allo stato teorico in cui le particelle sono prive di energia, mentre a temperature più elevate corrispondono valori di energia media progressivamente superiori.

Negli ultimi cinquant'anni, studiando stati esotici della materia, si è capito però che le cose sono più complesse e che la definizione di temperatura richiede maggiori specificazioni. Nei sistemi fisici più familiari, l'aggiunta di energia porta a un aumento del disordine, o entropia, del sistema: per esempio, riscaldando un cristallo di ghiaccio, questo fonde in un liquido, che ha uno stato più disordinato. Sottraendo energia, invece, il sistema diventa più ordinato. E proprio al rapporto fra variazione di energia fornita a un sistema e variazione della sua entropia fa riferimento una definizione più sofisticata di temperatura.

I fisici però successivamente hanno scoperto che possono verificarsi situazioni in cui, fornendo energia al sistema, questo invece di diventare più disordinato diventa più ordinato: sono appunto i sistemi a temperatura (assoluta) negativa. Questa possibilità è legata al fatto che la temperatura di un sistema può essere vista come una distribuzione di probabilità delle energie a cui si trovano le sue particelle. Solitamente, gran parte delle particelle che compone un sistema ha un'energia vicina a quella media del sistema e solo poche di esse si trovano a energie elevate (o più basse). Tuttavia, in linea teorica questa distribuzione può essere invertita, portando a una situazione in cui il segno della temperatura assoluta cambia e da positivo diventa negativo.

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Per temperature assolute positive (in alto, in blu) gli stati di bassa energia sono i più popolati, per temperature assolute negative, a esere maggiormente occupati sono gli stati energetici più alti.

A questa inversione di segno corrispondono altrettanti cambiamenti nei comportamenti dei sistemi a temperatura assoluta negativa: per esempio, mentre normalmente un gas riscaldato si espande, in questi singolari sistemi si contrae, e mentre di solito il calore fluisce da un corpo più caldo a quello più freddo, qui avviene l'opposto. Dal punto di vista matematico, un sistema a temperatura assoluta negativa si comporta come se fosse un sistema a temperatura infinita!

Sfruttando atomi ultrafreddi racchiusi trappole ottiche e una serie ben calibrata di raggi laser e campi magnetici per controllare con precisione il comportamento degli atomi, i ricercatori tedeschi hanno raggiunto una temperatura di alcuni nanokelvin inferiore allo zero assoluto per il loro gas ultrafreddo. Finora sistemi di questo tipo erano stati prospettati solo in via teorica; la dimostrazione che possano venire effettivamente creati apre la strada allo sviluppo di apparecchiature dotate di un'efficienza impensabile, pur dovendo essere di dimensioni nanoscopiche ossia a scale a cui si manifestano gli effetti quantistici.

Lo studio dello strano comportamento dei sistemi a temperature negative, osservano Schneider e colleghi, potrebbe anche essere utile alla creazione di nuovi modelli cosmologici, e per comprendere meglio il comportamento dell'energia oscura, ovvero della misteriosa forza che si ipotizza contrastare la forza di gravità, agendo così da motore dell'espansione dell'universo

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view post Posted: 17/12/2012, 22:42 Perché il mondo non finisce venerdì - Attualitá
Perché il mondo non finisce venerdì

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Tutta colpa dei Maya? Nel calendario maya, il 21 dicembre 2012 segna la fine del tredicesimo b'ak'tun, un ciclo lungo 5126 anni. L'idea che i Maya prevedessero un cataclisma nel 2012 è stata suggerita nel 1966 dall'archeologo e antropologo Michael D. Coe, ma l'interpretazione è confutata dalla maggioranza degli studiosi delle civiltà precolombiane: per i Maya, il passaggio da un ciclo all'altro era piuttosto occasione di grandi festeggiamenti.

Dall'asteroide alla tempesta solare, dalla profezia maya alla supernova: sono varie e fantasiose le ipotesi catastrofiste su una imminente fine del mondo. Sulla data, invece, c'è molto più accordo: venerdì prossimo, 21 dicembre, sarà il giorno che segnerà l'epilogo della vita sulla Terra, o perlomeno della specie umana.

Il fatto che i precedenti - e numerosissimi - appuntamenti con la fine del mondo siano puntualmente andati a vuoto, non scoraggia i profeti di sventura: stavolta ci siamo. Ecco una carrellata sulle congetture apocalittiche più diffuse e su che cosa ha da dire la scienza in proposito.


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L'impatto col pianeta nano Il fantomatico pianeta Niburu, scoperto dai Sumeri, sarebbe diretto inesorabilmente verso la Terra. E se non è con Niburu, allora l'impatto sarà con Eris o con un non meglio identificato 'Pianeta X'. Ma se un pianeta fosse in dirittura d'arrivo, ormai si vedrebbe a occhio nudo. Niburu e il Pianeta X non esistono. Eris c'è, è un pianeta nano (a destra nell'immagine, a confronto con Cerere e Plutone). Ma è oltre l'orbita di Nettuno e non può avvicinarsi a noi più di 6 miliardi di Km.


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L'allineamento di pianeti Un allineamento di pianeti si è verificato nel 1962, uno nel 1982 e uno nel 2000, senza aver mai provocato disastri di sorta. Per venerdì prossimo non si prevede alcun allineamento di pianeti, e nemmeno per i prossimi anni, ma anche se avvenisse non provocherebbe effetti particolari. Ogni dicembre, sottolinea la NASA, la Terra e il Sole sono allineati con il centro della nostra galassia. Senza conseguenze gravi per nessuno.


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Il blackout planetario Se i più pessimisti parlano di fine del mondo, qualcuno immagina catastrofi meno pretenziose. Come un blackout planetario, provocato da un presunto allineamento di pianeti, tra il 23 e il 25 dicembre. Tutto per via di un messaggio video in cui l'amministatore capo della NASA, Charles Bolden, sensibilizzava la popolazione all'importanza dell'essere preparati alle emergenze. Ma non parlava affatto di imminenti blackout globali.


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L'inversione del campo magnetico terrestre Un'altra idea suggestiva è quella dell'inversione della polarità della Terra: polo nord e polo sud magnetici si scambierebbero nel giro di poche ore. Questo accade in media ogni 400.000 anni, ed è improbabile che avvenga nei prossimi millenni. Qualcuno associa l'inversione della polarità a uno spostamento della crosta terrestre, ma i due fenomeni non sono correlati.


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L'asteroide L'ultimo impatto con la Terra di un asteroide in grado di provocare una catastrofe globale risale a 65 milioni di anni fa, ed è quello che ha portato all'estinzione dei dinosauri. Benché il rischio di impatti con asteroidi ancora sconosciuti non sia da escludere del tutto, se ce ne fosse uno in arrivo per venerdì, ormai sarebbe stato avvistato dai telescopi di tutto il mondo.


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La tempesta solare Il catastrofista rincara la dose: tra il 2012 e il 2014 è prevista una spaventosa tempesta solare! Ma le tempeste solari hanno luogo regolarmente ogni circa undici anni, e benché il livello tecnologico raggiunto dalla nostra civiltà oggi ci renda vulnerabili ai loro effetti per la prima volta nella storia dell'umanità, è altamente improbabile che le conseguenze possano raggiungere una scala mondiale, e persino regionale.


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La supernova Se una stella diventa una supernova, per gli esseri viventi nei dintorni sono guai: le radiazioni danneggerebbero certo gli ecosistemi. E nella nostra galassia, ogni cento anni, ne esplodono un paio! La candidata ideale è Betelgeuse, la supergigante rossa della costellazione di Orione. Ma perché una supernova possa nuocere alla Terra, dovrebbe trovarsi nel raggio di 50 anni luce. E Betelgeuse, a 600 anni luce, non esploderà per altri 100.000 anni. Nell'immagine, nubi gassose e frammenti di stella dopo un'esplosione.


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L'esplosione di raggi gamma Gli astronomi stimano che ogni 15 milioni di anni la Terra sia investita da un'esplosione di raggi gamma. Perché un fenomeno simile provochi gli stessi danni dell'esplosione di una supernova, basterebbe che avvenisse a 10.000 anni luce da noi. La Terra probabilmente ha già vissuto quest'esperienza, ma niente lascia pensare che debba accadere proprio il 21 dicembre 2012.


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Il supervulcano E una super eruzione? Il termine indica un'eruzione diecimila volte più potente delle più distruttive eruzioni dei nostri tempi. Un evento simile non si è mai verificato a memoria d'uomo, ma i rilievi effettuati sulla crosta terrestre ci dicono che ne sono avvenute in un passato remoto. Non esiste modo di prevedere le eruzioni, ma le aree vulcaniche attive sono monitorate in tutto il mondo, e non ci sono segnali di una super eruzione in tempi brevi.


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La profezia del cervellone
Anche i computer possono prevedere eventi nefasti. Come Web Bot project, un programma che analizza i comportamenti online. Nato come software di analisi finanziaria, ora è stato promosso a strumento di previsione del futuro basato sulla "saggezza delle masse". Masse che, argomentano gli scettici, possono avere conoscenza o effetto sui fenomeni economici, ma non capacità divinatorie.


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La cintura di fotoni Un'altra minaccia celeste è la cintura di fotoni, una fascia di radiazioni in cui il Sole starebbe per immergersi, scatenando una misteriosa interazione tra la Terra e Alcione, la più grande delle Pleiadi (nella foto). Gli effetti della photon belt non sarebbero solo negativi: dopo una fase di smarrimento, l'irraggiamento luminoso porterebbe a una 'rivoluzione spirituale'. Ma i fotoni non formano cinture, e le Pleiadi, già a 400 anni luce da noi, si stanno allontanando dal sistema solare.


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Il buco nero Ma perché immaginare una fisica così improbabile? Al centro della nostra galassia c'è Sagittarius A*, una sorgente di onde radio che ospita un fantastico buco nero pronto a inghiottire tutto ciò che si avvicina! Ma anche il buco nero è troppo lontano: per provocare effetti gravitazionali sulla Terra, dovrebbe essere 6 milioni di volte più vicino. Non solo: non è neanche detto che in Sagittario A* ci sia davvero di un buco nero.


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Mars Attacks Il panorama delle catastrofi annunciate si conclude con un classico: l'invasione aliena. Due anni fa si è sparsa la notizia che uno scienziato del SETI Institute (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) avesse individuato tre gigantesche astronavi dirette verso il nostro pianeta, in arrivo a dicembre 2012. Ma la "foto" di una delle navicelle aliene si è rivelata un difetto nel traferimento dell'immagine, e lo scienzato del SETI non è mai esistito

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view post Posted: 15/12/2012, 16:18 Le costanti fisiche fondamentali sono veramente costanti? - Scoperte scientifiche
Le costanti fisiche fondamentali sono veramente costanti?

L'osservazione delle righe spettrali del metanolo, un alcool molto diffuso nell'universo, in una sorgente radio distante ha permesso di porre un limite molto stringente alla variazione di una costante fisica fondamentale, il rapporto tra la massa del protone e quella dell'elettrone. Il risultato rappresenta un punto di arrivo cruciale per tutte le ricerche sulla possibilità che le costanti possano subire variazioni anche minime su scale temporali cosmologiche (red)

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Le costanti fondamentali della fisica sono veramente costanti, anche su scale spazio-temporali cosmologiche? Per una di esse in particolare – il rapporto tra la massa del protone e quella dell'elettrone - la risposta sembra positiva, almeno entro l'errore sperimentale, come scrivono su “Science” Julija Bagdonaite del Dipartimento di fisica e astronomia della VU University di Amsterdam e colleghi di un'ampia collaborazione internazionale.

Il modello standard della fisica delle particelle, che descrive le simmetrie e le forze della natura al livello fondamentale, non fornisce una spiegazione intrinseca dei valori delle costanti di accoppiamento fondamentali. E neppure vieta che possano dipendere dallo spazio o dal tempo.

Questa possibilità fu paventata nel 1927 dal fisico Paul Dirac, uno dei padri fondatori della teoria quantistica, il quale, riflettendo sul fatto che alle scale atomiche la forza elettromagnetica è circa 40 ordini di grandezza più intensa di quella gravitazionale, ipotizzò che la costante di gravitazione universale stia diminuendo via via che l'universo invecchia. Questo è in aperto contrasto con il principio di equivalenza che Albert Einstein pose alla base della teoria della relatività generale, secondo cui le leggi della natura, e quindi anche le costanti fondamentali, sono indipendenti dal sistema di riferimento.

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Effetto di "lente gravitazionale" da una sorgente galattica lontana: l'analisi delle righe spettrali di molecole di metanolo ha permesso di escludere, entro i limiti sperimentali, la variazione del rapporto tra la massa del protone e quella dell'elettrone

Alcuni scenari cosmologici elaborati negli ultimi decenni prevedono un meccanismo di evoluzione in cui una minima variazione delle costanti è cruciale per raggiungere l'attuale stato di complessità dell'universo. La ricerca di piccole variazioni delle costanti fondamentali adimensionali su scale temporali cosmologiche è diventata così una sfida sperimentale, che si è concentrata sull'accurata misurazione delle linee spettrali di atomi con elevato spostamento verso il rosso (redshift), cioè relative a sorgenti estremamente distanti nell'universo.

Un'interessante opportunità sperimentale è fornita da una costante adimensionale fondamentale, indicata dalla lettera greca μ, che rappresenta il rapporto tra la massa del protone e quella dell'elettrone. Una possibile variazione di questo rapporto può essere evidenziata confrontando l'osservazione delle linee spettrali della molecola d'idrogeno molecolare nelle galassie distanti con accurate misurazioni di laboratorio. Finora, le osservazioni con i più sofisticati telescopi a terra hanno permesso di guardare indietro nel tempo fino a 12 miliardi di anni fa, ponendo un limite della variazione relativa di μ, che risulta inferiore a una parte su 100.000.

Proseguendo su questa strada, gli autori di quest'ultimo studio sono andati oltre, sfruttando le osservazioni delle righe spettrali del metanolo, che garantiscono una sensibilità ancora migliore. Il metanolo è l'alcool più semplice formato dal legame di un gruppo idrossile a un gruppo metile, presente in abbondanza nell'universo e osservabile con linee spettrali nella nostra galassia.

Le osservazioni astronomiche si sono concentrate sullo spettro radio della sorgente a lente gravitazionale denominato PKS1830-211 che, con un redshift di 0,89, è a una distanza di sette miliardi di anni luce da noi. Il risultato per la variazione relativa di μ è stato di zero, con un errore di una parte su dieci milioni. Almeno entro l'accuratezza sperimentale, dunque, la costante è veramente costante.

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view post Posted: 3/12/2012, 19:24 "Time" e il bosone di Higgs: 5 errori per una candidatura - Scienza & Tecnica
"Time" e il bosone di Higgs: 5 errori per una candidatura

La rivista "Time" ha incluso il bosone di Higgs fra i candidati al titolo di "Persona dell'anno 2012". Peccato che l'articolo in cui si spiegano le ragioni di questa scelta sia infarcito di errori: un esempio, purtroppo frequente, di cattivo giornalismo in materia di scienza. E dire che i ricercatori disponibili per verificare l'articolo non sarebbero mancati: nei due esperimenti responsabili della scoperta della particella, ne sono coinvolti ben 6000. di Michael Moyer

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La rivista “Time” ha recentemente pubblicato i nomi dei 30 candidati al suo popolarissimo premio "Persona dell'anno". Nascosto tra il presidente Barack Obama e il rapper coreano Psy c'è anche un candidato improbabile, una particella subatomica. Come è noto, questa estate i fisici del Large Hadron Collider hanno annunciato di aver trovato qualcosa che somiglia molto al sospirato bosone di Higgs, provocando in tutto il mondo un breve ma intenso periodo di “Higgsteria”.

In circostanze normali, ci sarebbero tutti i presupposti per elevare del bosone di Higgs allo status di "Persona dell'anno", non foss'altro che per onorare maggiormente gli eroici sforzi di migliaia di scienziati e ingegneri che hanno reso possibile la scopert. Ma la candidatura proposta da “Time” rischia di fare più male che bene. Ogni singola frase della spiegazione della candidatura contiene almeno un errore grave. La rivista riesce a sbagliare il bersaglio cinque volte su cinque. Per chiarire la questione, facciamo rapidamente il punto.

Affermazione 1: Fermatevi un attimo per ringraziare questa piccola particella per tutto il lavoro che fa, perché senza di essa, ci sarebbe solo energia senza nemmeno un briciolo di massa.
Errore: L'idea comune del bosone di Higgs è che sia responsabile di tutta la massa dell'universo, ma questo è falso, come ha spiegato la scorsa settimana in un illuminante e accurato post il mio collega Daisy Yuhas: "Il campo di Higgs non spiega l'origine di tutta la massa. 'Molti fisici non informati lo hanno ripetuto per anni', osserva il fisico teorico Chris Quigg del Fermi National Accelerator Laboratory. 'E' da un po' che abbiamo effettivamente compreso la fonte della maggior parte della massa del protone [per esempio]'. La maggior parte della massa – voi e io inclusi - viene dalla forza forte, una forza della natura che tiene legato insieme il nucleo degli atomi." Il campo di Higgs dà origine alle masse di particelle come i bosoni W e Z, e come l'elettrone. Ed è vero che senza di esso, l'universo sarebbe un posto molto diverso. "Senza questa massa, gli elettroni non si legherebbero ai nuclei per formare atomi. 'Ciò vorrebbe dire nessun legame di valenza né chimica; sostanzialmente, tutto svanirebbe', dice Quigg. 'Dunque , nessuna struttura solida e nessuno stampo per la vita' ".

Affermazione 2: Di più, lo stesso varrebbe per l'intero universo.
Errore: Si veda l'affermazione 1. Protoni e neutroni sarebbero ancora dotati di massa.

Affermazione 3: E' stato nel 1960 che il fisico scozzese Peter Higgs ha postulato per primo l'esistenza di una particella che permette di fare il salto dall'energia alla materia.
Errore: Il campo di Higgs non permette di "fare il salto dall'energia alla materia", e non è chiaro perché l'autore del pezzo pensi che sia così. Ma cerchiamo di dare un'interpretazione generosa. L'Higgs spiega perché i bosoni W e Z, vettori della forza debole - hanno una massa. Se dovessero essere privi di massa, viaggerebbero necessariamente alla velocità della luce e, quindi, potrebbero essere considerati "energia", piuttosto che "materia" (come se ci fosse una linea netta linea di demarcazione tra le due). Sarebbero qualcosa di simile al fotone, il vettore della forza elettromagnetica. Ma il fotone è pura "energia"? Per niente. Il fotone è ben noto per comportarsi contemporaneamente sia come onda (energia) che come particella (materia).

Inoltre, Peter Higgs non è stato né il primo né l'unico fisico a postulare l'esistenza della particella che porta il suo nome. Ed è inglese (è nato a Newcastle), e non scozzese.

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Uno degli eventi ce testimonia l'esistenza del bosone di Higgs.

Affermazione 4: Ma è solamente la scorsa estate che un gruppo di ricercatori europei del Large Hadron Collider - Rolf Heuer, Giuseppe Incandela e Fabiola Gianotti – ha finalmente chiuso la faccenda e, così facendo, ha pienamente confermato la teoria generale della relatività di Einstein.
Errore: Da dove cominciare? Cominciamo da Einstein. Onestamente non ho alcuna idea del perché l'autore vorrebbe stabilire un collegamento tra il bosone di Higgs e la relatività generale. Nessuna! Perché non c'è nessun legame. Einstein ci ha insegnato che l'energia e la massa sono due facce della stessa medaglia (e questa è una conseguenza della sua teoria speciale, non generale, della relatività), ma questo insegnamento è in contraddizione con la ripetuta affermazione dell'autore che il bosone di Higgs in qualche modo trasformi l'energia in materia.

Senza contare che nessuna teoria scientifica può mai essere "pienamente" confermata. Che cosa significherebbe per una teoria scientifica essere finalmente “pienamente" confermata? Sta suggerendo che non potrebbe mai presentarsi alcun dato che possa sfidarla? I teoremi puramente matematici possono essere dimostrati. Le teorie scientifiche possono essere smentite.

E poi c'è il problema dell'attribuzione. L'autore cita un "gruppo" di tre ricercatori che ha scoperto il bosone di Higgs. Sbaglia solo di tre o quattro ordini di grandezza. La scoperta di questa estate è stata confermata da due esperimenti indipendenti presso l'LHC: ATLAS e CMS. Ciascuno di questi esperimenti vede al lavoro circa 3000 scienziati. Al momento dell'annuncio, Incandela e Gianotti erano alla guida dei due esperimenti, ma i direttori di ricerca cambiano in continuazione (Incandela ha diretto CMS per meno di un anno, per esempio), e la scoperta di Higgs è il prodotto di un progetto durato più decenni. [ROlf Heuer, dal canto suo, pur essendo il direttore del CERN, non è coinvolto direttamente in nessuno dei due esperimenti N. d. R.]

Affermazione 5: Il bosone di Higgs – come fanno le particelle - è immediatamente decaduto in particelle più fondamentali, ma gli scienziati sarebbero sicuramente felici di ricevere gli onori e i riconoscimenti in sua vece.
Errore: "Particelle più fondamentali"? Alcune particelle come il protone e il neutrone sono "composte": sono particelle composte da altre particelle (in questo caso, quark e gluoni). Ma le particelle "fondamentali" del Modello Standard della fisica delle particelle non sono composte. Esse sono, per quanto ne sappiamo, indivisibili. Certo, possono cambiare da una all'altra, ma non si frantumano in particelle "più fondamentali". Il bosone di Higgs è di per sé una particella fondamentale. In realtà, è questa, in buona parte, la ragione della grande emozione suscitata: era l'ultima particella fondamentale prevista dal Modello Standard della fisica delle particelle, che finora aveva eluso il rilevamento. Decade, ma quando lo fa si trasforma in altre particelle altrettanto fondamentali.

Bene, io sono favorevole ad aggiudicare al bosone di Higgs il titolo di “Persona dell'anno 2012”. Ma se lo fate, vi prego di sottoporre la motivazione del premio a qualcuno che capisce qualcosa di fisica delle particelle prima che vada in stampa. Mi vengono in mente almeno 6000 persone che potrebbero farlo molto bene.

(La versione originale di questo articolo è apparsa su scientificamerican.com il 29 novembre; riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

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view post Posted: 23/10/2012, 11:13 Il tuo gatto ti fa impazzire? - Scoperte scientifiche
Il tuo gatto ti fa impazzire?

Può un protista parassita la cui infezione può passare in molti casi inosservata nell’uomo, modificare il comportamento umano semplicemente perché si comporta come fa di solito nei topi?

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Il titolo di questa notizia è la storpiatura di un titolo di The Atlantic (McAuliffe, 2012) nel quale si fa il punto su ciò che si sa della relazione fra Toxoplasma e comportamento umano. Toxoplasma gondii è un protista (eucariote unicellulare) appartenente al phylum degli Apicomplexa (come il plasmodio della malaria), che parassita l’intestino dei gatti e dei felidi in generale. I gatti si infettano di solito da giovani, mangiando prede (topi, uccelli) o carne di animali infetti. Nell’intestino dei gatti, Toxoplasma va incontro a una riproduzione sessuale molto intensa, con produzione di decine di milioni di nuovi individui che vengono rilasciati con le feci per una decina di giorni. In questo modo i parassiti infettano gli ospiti intermedi (topi, ecc…) nei quali formano cisti di 15-200 µm circondate da una parete, che si insediano prevalentemente nel sistema nervoso centrale e persistono per tutta la vita dell’ospite. Dal punto di vista del parassita, ahimé, anche noi siamo “ospiti intermedi”, perché l’ospite finale per il quale è destinato e dove andrà a riprodursi è il felino (quindi anche il gatto). Gli umani si infettano o per contaminazione con le feci dei gatti infetti o con il consumo di carne contenente cisti cruda o poco cotta, o di verdura fresca non ben lavata. Nell’intestino le cisti si lisano, e una forma di Toxoplasma passa nel sangue, va in circolo per un paio di settimane riproducendosi per via asessuale prima di incistarsi, appunto, nel cervello e restar lì, di solito dormiente, e senza effetti visibili, per tutta la vita. Nel breve periodo di attività, il parassita, se si trova in una donna incinta può trasmettersi al feto, causandogli gravi danni. Nelle persone immunodepresse le cisti cerebrali possono riattivarsi causando meningoencefaliti.

Che c’entra tutto ciò con l’evoluzione? Semplice: il punto debole della vita di un parassita è la sua diffusione, dunque il passaggio dall’uno all’altro degli ospiti finali. Per far ciò Toxoplasma “usa” gli ospiti intermedi. E per massimizzare la possibilità che un ospite intermedio “incontri” un ospite finale, ne modifica il comportamento. Esperimenti iniziati una trentina d’anni fa (riassunti in Webster, 2001) hanno mostrato che i topi infettati diventano più mobili (e naturalmente i gatti sono interessati a prede che si muovono di più), e hanno una piccola, ma consistente, preferenza per aree più esposte o nuove. Fu poi indagata la “paura del nuovo” nei ratti, una specie tipicamente neofobica (per questo son difficili da catturare!), e i ratti infetti si dimostrarono più propensi a farsi catturare dalla trappole! Una serie di esperimenti in condizioni estremamente controllate dimostrò poi che i ratti, che hanno un’innata avversione per l’odore dei gatti anche se non ne hanno mai visto uno, in un test a scelta multipla fra: lettiera, lettiera bagnata con acqua, lettiera bagnata con gocce di urina di coniglio (un mammifero non predatore) e lettiera bagnata con urina di gatto, senza esitare si dirigono verso l’odore di gatto se infetti da Toxoplasma, ma lo fuggono se non contaminati. Ricerche successive mostrarono che i roditori infestati avevano tempi di reazione più lunghi, aumentata (ratti) o diminuita (topi) preferenza per stimoli nuovi, diminuita capacità di apprendimento, aumentata attività (compresa quella sulle ruote). L’effetto spariva con un trattamento specifico contro il Toxoplasma (Flegr et al., 2011).

Dunque, Toxoplasma modifica il comportamento degli ospiti intermedi, e una serie di esperimenti successivi ha chiarito il meccanismo molecolare: le cisti dormienti nel cervello producono sostanze che interferiscono coi trasmettitori del sistema nervoso. Ma anche gli umani possono fungere da ospite intermedio e avere cisti nel cervello. Non sarà che queste ultime “si comportano” come farebbero nei topi? E’ noto che alcuni parassiti umani inducono comportamenti tesi a massimizzare la propria diffusione: il raffreddore ci fa starnutire – e trasmettere i virus; la bronchite ci fa tossire – e trasmettere i patogeni; il colera provoca diarrea – e aumenta così la diffusione del vibrione. Ma quando si passa a comportamenti più sofisticati? Ad esempio, Reiber et al. (2010) si sono chiesti se le persone esposte al virus dell’influenza modificano il proprio comportamento sociale. Ovviamente una ricerca del genere non può usare infezioni sperimentali, così hanno seguito un gruppo di persone vaccinate contro l’influenza (e dunque esposte al virus), e hanno trovato che, nelle 48 ore seguite all’inoculazione (quelle che nell’infezione influenzale precedono la manifestazione di sintomi che ce lo impedirebbero), esse interagivano con molte più persone che nelle 48 ore precedenti. Gli umani (stranamente quelli maschi, non le femmine) con cisti dormienti di Toxoplasma sono, che lo crediate o no, più attirati (o meno respinti!) dall’urina dei gatti rispetto a quelli non infetti (Flegr et al., 2011). Anche se è improbabile che un uomo venga divorato da un gatto, per quanto selvatico, il messaggio interessante è che Toxoplasma può alterare il comportamento umano. Abbiamo visto che i comportamenti alterati nei roditori sono molteplici, e dunque molti ricercatori sono andati a indagarli, e hanno trovato che gli umani infetti hanno tempi di reazione prolungati, rischio elevato di incidenti stradali (l’equivalente della facilità di predazione negli animali …). Subiscono cambiamenti dei profili di personalità: ad esempio, nelle donne infette, l’intelligenza e la forza del superIo sono maggiori (sono più consapevoli dei propri ruoli, rispettose, coscienziose, conformiste, moraliste, compassate e legate alle regole); l’affettività è superiore (sono più calorose, socievoli, attente agli altri, gentili, alla mano, empatiche e amanti delle persone). Invece gli uomini infetti hanno un livello più basso d’intelligenza, della forza del superIo e della ricerca di novità (una scarsa ricerca di novità indica personalità rigide, leali, stoiche, poco umorali); sia gli uomini sia le donne infette mostrano alti livelli di propensione alla colpa ( tendono ad essere più apprensivi, dubbiosi, preoccupati, inclini a colpevolizzarsi, insicuri , preoccupandosi e prendendosela con se stessi). Gli umani infestati differiscono negli esperimenti di comportamento, nel vestire (più corretto nelle donne, più trasandato nei maschi), differiscono nel comportamento economico nei giochi sperimentali (aumento dell’altruismo nelle donne e diminuzione negli uomini). Vi sono indicazioni indirette di aumento di dopammina nei cervelli delle persone infette, che potrebbero spiegare l’associazione della toxoplasmosi con la schizofrenia, l’autismo, il morbo di Parkinson e quello di Alzheimer. Studi recenti hanno rilevato pure un aumento di rischio di suicidio. (Flegr et al., 2011, McAuliffe, 2012).

Molta strada resta da fare (ad esempio: perché quelle differenze fra i sessi? Perché quelle alterazioni di comportamento che non sembrano avere molto in comune con quelle dei topi? Come si riflettono queste alterazioni di comportamento a livello collettivo – dati in Webster, 2001 - in paesi come il Brasile, con il 67% di positivi, o come la Norvegia con l’8,6 %?). Direi però che ci possiamo portare a casa un bel po’ di lezioni da questa storia: non sottovalutiamo mai i parassiti, possono essere ben più forti e sottilmente “cattivi” di quanto possiamo immaginare; non sottovalutiamo l’ipotesi che certi comportamenti devianti siano dovuti a microbi; usiamo di più gli strumenti della biologia evoluzionistica nella medicina.

Marco Ferraguti


Riferimenti:

Jaroslav Flegr et al. (2011) Fatal Attraction Phenomenon in Humans – Cat Odour Attractiveness Increased for Toxoplasma- Infected Men While Decreased for Infected Women. PLoS Negl. Trop. Dis., 5(11): e1389

Kathleen McAuliffe How your cat is making you crazy. The Atlantic, March 2012, http://www.theatlantic.com/magazine/archiv...u-crazy/308873/

Chris Reiber et al. (2010) Change in Human Social Behavior in Response to a Common Vaccine, Ann Epidemiol., 20:729–733

Joanne P. Webster (2001) Rats, cats, people and parasites: the impact of latent toxoplasmosis on behavior. Microbes and Infection, 3: 1037−1045

FONTE
view post Posted: 16/9/2012, 13:52 Con la forza del vento: il potenziale dell'energia eolica - Ambiente
Con la forza del vento: il potenziale dell'energia eolica

Due richerche indipendenti hanno stimato la massima energia che si potrebbe ottenere dal vento, concludendo che il potenziale ricavo energetico sarebbe molto superiore al fabbisogno globale e non avrebbe conseguenze climatiche significative di David Biello

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VAI ALLA FOTOGALLERIA: Come funziona un impianto eolico

Le turbine eoliche sulla terraferma e in mare potrebbero fornire più del quadruplo dell'energia che il mondo intero utilizza attualmente. Portate in quota con giganteschi aquiloni o velivoli robotizzati, potrebbero sfruttare il vento degli strati superiori dell'atmosfera, consentendo di estrarre fisicamente circa 100 volte più energia di quella attualmente consumata nel mondo, senza peraltro determinare conseguenze negative per il clima.

Insomma, ci sono poche limitazioni al potenziale energetico del vento, come hanno concluso due diverse analisi al computer. Sebbene infatti “esistano limiti fisici alla quantità di energia che può essere ricavata dai venti, essi sono ben oltre la domanda globale di energia, pari a circa 18 terawatt”, spiega l'esperto d modelli climatici Kate Marvel del Lawrence Livermore National Laboratory, che ha guidato lo studio pubblicato il 9 settembre sulla rivista "Nature Climate Change".

Considerata la necessità di ridurre le emissioni di gas serra, gli impianti eolici si stanno diffondendo ovunque, dagli Stati Uniti alla Cina, per complessivi 239 gigawatt di potenza installati globalmente. Il problema è che risulta ancora poco chiaro quale possa essere il limite ultimo della generazione eolica di energia: ogni processo di sfruttamento del vento finisce infatti per ridurne la velocità, influenzando sia il clima locale sia quello globale.

Usando un modello al computer della meteorologia globale e della chimica della luce solare e incrociando poi i dati con le informazioni sulla generazione di energia forniti dai produttori di turbine, gli ambientalisti Cristina Archer dell'Università del Delaware e Mark Jacobson della Stanford University hanno stimato quando le turbine elettriche potrebbero raggiungere il punto di saturazione, cioè quello in cui l'aggiunta di ulteriori turbine potrebbe ridurre la quantità di energia generata invece che incrementarla.

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Generatore eolico terrestre: il potenziale dello sfruttamento del vento è ben superiore all'attuale fabbisogno globale di energia

A 100 metri di quota (all'incirca l'altezza del centro delle pale di un moderno generatore di grandi dimensioni sulla terraferma) questo punto di saturazione corrisponderebbe alla produzione di più di 250 terawatt di potenza, secondo i risultati pubblicati online sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” il 10 settembre.

“Abbiamo calcolato quanta energia elettrica può essere generata dall'atmosfera”, spiega Archer. "Basterebbero quattro milioni di turbine diffuse in tutto il mondo per produrre facilmente e in modo sostenibilmente 7,5 terawatt di potenza, pari a circa la metà di tutta l'energia utilizzata attualmente".

Da parte loro, Marvel e colleghi hanno esaminato anche i limiti geofisici dell'energia eolica, o meglio quanta energia può essere estratta dai venti globali senza serie conseguenze. I venti di superficie al di sotto di 395 metri, che in ogni caso finiscono per essere dissipati, potrebbero fornire almeno 400 terawatt di potenza, mentre quelli a maggiori altitudini potrebbero offrire più di 1800 terawatt, secondo le stime ottenute sulla base della fisica dell'atmosfera.

I ricercatori poi hanno utilizzato un modello al computer per simulare il clima globale nell'arco di un secolo per stimare l'impatto che potrebbe avere l'estrazione di questa energia. Se gli esseri umani riuscissero a estrarre tutta quell'energia, le temperature globali potrebbero salire di circa un grado e le precipitazioni aumentare di circa il 10 per cento.

Chiaramente, trattandosi di una quantità di energia 100 volte maggiore di quella attualmente consumata complessivamente per le attività antropiche, se ne deduce che l'effettivo impatto climatico dell'energia eolica sarebbe molto più limitato.

“A questa scala, le conseguenze climatiche di un'ampia diffusione degli impianti eolici sarebbe trascurabile”, ha sottolineato l'esperto di modelli climatici Ken Caldeira, del Dipartimento di ecologia della Carnegie Institution della Stanford University, collega della Marvel.

(La versione originale di questo articolo è apparsa su scientificamerican.com il 9 settembre. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

FONTE
view post Posted: 18/8/2012, 17:56 Secondo voi è una cosa illegale o una fregatura? - Off Topic
CITAZIONE
e richiedono lo storno dell'avvenuto bonifico....Ovviamente io ho rinunciato allo storno

Che sarebbe uno storno?
view post Posted: 1/8/2012, 21:51 Conversione ore - Off Topic
Per riprendere il problema di skype, per trasformare un numero x in centisecondi nel formato ore : minuti : secondi : centisecondi.


Prendiamo ad esempio una cifra di 1234567890 centisec.

Per ottenere i centosec in quel formato, prendi la cifra e dividila per 100, i centisec saranno il resto di quell'operazione:
1234567890/100 = 12345678 col resto di 90

Per ottenere i secondi, prendi il quoziente della precedente operazione e dividila per 60, i secondi saranno il resto di quell'operazione:
12345678/60 = 205761 col resto di 18

Per ottenere i minuti, prendi il quoziente della precedente operazione e dividila per 60, i minuti saranno il resto di quell'operazione:
205761/60 = 3429 col resto di 21

Le ore sarebbero il quoziente di quest'ultima operazione, ossia 3429.

Quindi il numero convertito sarebbe:
3429:21:18:90

Edited by Roy Batty - 2/8/2012, 01:07
view post Posted: 4/7/2012, 20:19 Hanno trovato il Bosone di Higgs - Scienza & Tecnica
La prossima volta non metterci solo il link :)
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